03 novembre 2005

Oswiecim

Le parole morte e terrore non servono a niente, in un posto come questo. E guardare fotografie, documentari, leggere libri di storia è niente. Passarci tre ore di persona, e il "campo" ti prende, ti scuote, rivolta i tuoi principi, annulla i tuoi pensieri. Poi si presenta di fronte a te, dietro a case di mattoni ordinatamente disposte, pensate per alloggiare l'esercito polacco. Mi ricorda un ricostruzione della Edmonton del diciannovesimo secolo che ho visitato qualche anno fa, quegli edifici del passato non toccati dai tempi moderni e le giacche colorate dei turisti con la digitale in mano. La regina di tutte le giustapposizioni. E' una mattina relativamente calda, c'è il sole. Puoi sforzarti di non pensare. Se ci riesci. Ma sai dove ti trovi.
Primo edificio, la deportazione.
Secondo edificio, lo sterminio.
E poi i mucchi di oggetti appartenuti a prigionieri, i mucchi di capelli, le condizioni di vita. E a questo punto o pensi ad altro o piangi. Sul serio.
Un prigioniero scappa, le SS interrogano tutti quelli che vivono nello stesso edificio. Non sanno, o non hanno la forza di parlare. Le SS scelgono dieci prigionieri a caso da uccidere, uno di loro scoppia a piangere e dice che non può morire, che ha moglie e figli. Un prete si offre per essere ucciso al suo posto. Le SS non capiscono, ma accettano. Perchè gli uomini di religione erano trattati peggio degli altri. Il prete viene rinchiuso in una cella senza cibo, dopo tre settimane è ancora vivo. Decidono che è passato troppo tempo, che può diventare una simbolo, una speranza per gli altri prigionieri e lo uccidono.
In quel momento, in quel preciso istante, il Nazismo fu sconfitto. Da qualcosa più grande di lui, che mai avrebbe potuto concepire.
E ancora il muro delle fucilazioni, l'edificio delle punizioni e la prima camera a gas con i forni crematori. Ma a questo punto sei in grado di accettare, semplicemente, quello che è successo, e guardi avanti.
Una mela, un panino e una bottiglietta d'acqua per tutti quelli a cui sono stati negati. Si impara dal passato, ma guai a smettere di guardare avanti.

PS: mi accorgo che questo sono parole, parole, solo parole. Andateci, non c'è altro modo di comprendere quel luogo.
 
posted by MJ at 17:40, |